Ottobre – Dicembre 2017
L’oncologia, per le caratteristiche che le sono proprie, rappresenta una delle aree della medicina ad elevato investimento psichico ed i professionisti che lavorano in questo campo sono esposti a livelli di stress particolarmente elevati. Tali livelli di stress determinano a lungo andare situazioni di esaurimento emotivo ed inaridimento del rapporto con gli altri.
Sono stata invitata dal primario di un ospedale romano a tenere un corso di formazione per il personale infermieristico che riguardasse il tema del burn out.
Il tipo di formazione che ho scelto per la conduzione di quello che ho voluto chiamare “per-corso”, si è focalizzata principalmente sull’acquisizione, da parte dei partecipanti, di informazioni e conoscenze tecniche riguardanti soprattutto la comunicazione e la sua gestione efficace. Inoltre, è stato molto importante lasciare spazio al gruppo per il riconoscimento e l’elaborazione dei vissuti emotivi legati all’attività assistenziale, così da consentire una maggiore consapevolezza di sé stessi e della propria emozionalità. L’aspetto principale è stato quindi quello del porre attenzione al proprio mondo interno ed alla risonanza emotiva suscitata dalla relazione con l’altro: diventare consapevole dei propri bisogni e delle proprie emozioni facilita il riconoscimento dei bisogni e delle emozioni dell’altro. La dimensione emozionale è stata quindi condivisa in una sorta di “socializzazione” delle emozioni per comprendere il modo in cui ci si rappresenta nella realtà (in questo caso lavorativa).
Il gruppo con cui ho avuto il piacere e l’onore di lavorare in questi 3 mesi è stato un gruppo molto motivato soprattutto dall’esigenza di trovare un modo di lavorare in maniera più integrata, in cui potessero prevalere un senso di sostegno reciproco e di soddisfazione professionale anziché sentimenti di ostilità e/o di competizione.
La scelta di incontrare il gruppo una volta a settimana per 2 ore per un totale di 10 incontri è stata positiva in quanto ha dato la possibilità ai partecipanti di usufruire di un lasso di tempo tra un incontro e l’altro per l’elaborazione dei contenuti e, inoltre, non è stata un’ulteriore fonte di stress dal punto di vista dell’impegno orario tenuto conto degli oneri lavorativi e familiari di ciascun partecipante.
La premessa che gli incontri si sarebbero tenuti in un clima di riservatezza, rispetto, accoglienza e sospensione del giudizio verso sé stessi e gli altri, ha fatto sì che, dopo un primo momento di diffidenza e di chiusura fisiologiche, il gruppo abbia iniziato a rivelarsi ed a rivelare le principali criticità relazionali.
L’intervento si è quindi concentrato su diversi aspetti. Inizialmente, il lavoro è stato indirizzato nel senso di migliorare la comunicazione tra gli operatori incoraggiando la libera espressione di pensieri, individuando quelli controproducenti o irrazionali (come la paura di non essere simpatici, di non piacere o di rovinare il rapporto con i colleghi) e favorendo il confronto costruttivo di opinioni differenti, sostenendo la risoluzione di
conflitti interpersonali spesso causati da modalità di comunicazione indiretta e disfunzionale.
In un secondo momento l’intervento si è incentrato sul riconoscimento e l’elaborazione di particolari vissuti emotivi connessi con l’assistenza a pazienti oncologici gravi e con prognosi infausta. Il comprendere i propri limiti riconoscendo eventuali sentimenti di onnipotenza per essere capaci di mettere i “confini” alla propria disponibilità, ha permesso a molti di riconoscere e valorizzare le motivazioni personali nella scelta della professione ed eventualmente pensare ad una diversa collocazione (anche se dopo l’elaborazione in gruppo nessuno dei partecipanti ha sentito il bisogno di cambiare reparto). Molti partecipanti alla fine del percorso hanno comunque evidenziato il bisogno ancora molto forte di poter elaborare vissuti emotivi individuali riguardanti tematiche come la malattia, il senso di impotenza, la morte, l’elaborazione del lutto.
Nell’ultima fase si è dato spazio, oltre che alla promozione di una maggiore consapevolezza di sé, anche alla ricerca di un’atmosfera di comprensione, di reciproco rispetto e di collaborazione di gruppo, in un clima di fiducia, facilitando così il consolidamento del senso di coesione e di unione al fine di favorire quel sostegno e supporto emotivo del gruppo ora vissuto come risorsa e come moderatore dello stress e fattore di protezione dal burn-out.
Si è posta l’attenzione anche sull’importanza che ha l’impegno oltre che verso il prossimo (pazienti, familiari dei pazienti) anche e soprattutto verso sé stessi e la propria salute. Attraverso una metodologia di tipo esperenziale sono state utilizzate micro tecniche di rilassamento, respirazione, mindfulness, role playing. Il saper “staccare la spina”, il saper prendere le giuste distanze dai pazienti, dai loro familiari ed anche dai colleghi, è presupposto per il mantenimento di uno stato di benessere sia a livello fisico sia psichico indispensabile per affrontare con maggior soddisfazione ed impegno il proprio lavoro.
Alla fine del corso è risultato un netto miglioramento soggettivo del tono dell’umore, della disponibilità relazionale e particolarmente dell’ascolto dei pazienti e dei colleghi, pur aumentando, insieme alla consapevolezza, anche una certa insoddisfazione nel lavoro per le quotidiane difficoltà che, in precedenza, erano più facilmente negate o rimosse.
In conclusione possiamo dire che i progressi del gruppo (o meglio dei due gruppi di lavoro che inizialmente si vivevano come due realtà distinte e separate) sono stati numerosi.
Al termine del lavoro svolto il gruppo all’unisono ha espresso il desiderio che l’esperienza vissuta possa essere riproposta presto spostando l’attenzione principalmente sui vissuti emotivi legati al lavoro in oncologia (le storie di vita e le esperienze personali degli operatori spesso vengono rievocate dalle vicende dei pazienti, riportando a ricordi dolorosi e sentimenti irrisolti). L’elaborazione di emozioni ed in particolare il riconoscimento di reazioni di difesa eccessivamente rigide di fronte a situazioni ad alto coinvolgimento emotivo, permette all’operatore di gestire adeguatamente questi stati emotivi facilitando e migliorando la relazione con i pazienti.
Dott.ssa Francesca Lamanna